Attuare una strategia di sostenibilità, ovvero intraprendere un percorso a lungo termine finalizzato al bilanciamento e allineamento delle proprie attività con gli obiettivi di sostenibilità sociale, economica e ambientale (ESG) è ormai fondamentale per un’organizzazione. L’acronimo ESG, che sta per Environmental, Social e Governance, si riferisce ad una serie di criteri di misurazione e di standard, in gran parte in corso di definizione, afferenti alle attività ambientali (Environmental), sociali (Social) e di governo societario (Governance) di un’organizzazione.
Il Bilancio di sostenibilità è lo strumento con cui le aziende rendicontano, in modo chiaro e trasparente, le proprie performance di sostenibilità, compresi gli impatti positivi e negativi generati dal proprio operare, e misurano i progressi del proprio impegno nell’attuazione degli obiettivi di sostenibilità prefissati.
Che cos’è il bilancio di sostenibilità e per chi è obbligatorio
Il Rapporto di sostenibilità rappresenta la piattaforma fondamentale per misurare e comunicare le prestazioni e gli impatti di sostenibilità di un’impresa e implica l’assunzione di responsabilità (accountability) verso gli stakeholder interni ed esterni, in riferimento alla performance dell’organizzazione rispetto all’obiettivo dello sviluppo sostenibile.
Tuttavia, se fino a qualche tempo fa, la redazione di questo documento era volontaria, oggi, invece è obbligatoria. Dall’inizio del 2024, infatti, è diventata effettiva la “Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD” che sostituisce la NFRD (Non-financial Reporting Directive, adottata nel 2014 e recepita in Italia nel 2016 con il D.Lgs. n. 254/2016) rendendo obbligatorio il bilancio di sostenibilità.
La Direttiva CSRD, che avrà un ambito di applicazione graduale nei prossimi anni, introduce il concetto di “doppia materialità”, affiancando alla “materialità finanziaria”, cioè alle informazioni rilevanti per un’impresa, quella relativa all’impatto che l’impresa ha con la sua attività (“materialità dell’impatto”).
Rispetto alla precedente normativa, si amplia la platea dei soggetti interessati; a livello europeo si passerà da 11.600 imprese a 49.000, di cui quasi 7.000 solo in Italia, che saranno coinvolti con le seguenti tempistiche:
- dal 2025 (anno fiscale 2024) le grandi imprese di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, attualmente soggette alla direttiva NFRD;
- dal 2026 (anno fiscale 2025) le grandi imprese che, alla data di chiusura dell’esercizio, superino 2 dei seguenti 3 criteri: € 20 milioni di totale dell’attivo, € 40 milioni di ricavi netti, 250 dipendenti medi annui;
- dal 2027 (anno fiscale 2026) le PMI e le altre imprese quotate (escluse le microimprese).
Per quanto riguarda Unicalce, quindi, l’azienda sarà soggetta alla redazione del bilancio di sostenibilità dal 2026 su dati dell’anno fiscale 2025. Unicalce ha già programmato e avviato nel 2024 un percorso triennale per arrivare pronta nel 2026. Nell’ultimo trimestre del 2024 è infatti prevista la pubblicazione del primo report di sostenibilità redatto su base volontaria.
Al primo report del 2024 seguirà un report nel 2025, redatto secondo i criteri della direttiva CSRD, ma pubblicato ancora su base volontaria per arrivare pronta al 2026 con il primo bilancio di sostenibilità ufficiale.
Unicalce si dimostra virtuosa in quanto ha pianificato con largo anticipo un percorso triennale per prepararsi alla redazione del bilancio di sostenibilità, nonostante l’obbligo inizi solo dal 2026. Questo impegno testimonia la volontà dell’azienda di operare in maniera trasparente e responsabile, adottando già nel 2024 pratiche di rendicontazione di sostenibilità di criteri ESG in modo volontario. Inoltre, iniziando ad allinearsi ai criteri della direttiva CSRD nel report del 2025, pur non essendo ancora obbligatorio, sottolinea ulteriormente l’impegno di Unicalce a conformarsi ai più elevati standard di sostenibilità, con l’intento di presentarsi come leader nel settore in materia di responsabilità di governance, sociale e ambientale.
L’evoluzione della normativa ESG
Il contrasto al greenwashing rimane al centro del quadro normativo europeo sulla sostenibilità, in continua evoluzione. All’inizio dell’anno, sono entrati in vigore anche gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards), gli standard Europei specifici per il reporting di sostenibilità, parti integranti della CSRD pubblicati dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), che dovranno guidare le aziende nella redazione del report di sostenibilità, indicando le informazioni che un’impresa deve comunicare in merito ai suoi impatti, rischi e opportunità (IRO) rilevanti in relazione alle questioni di sostenibilità ambientale, sociale e di governance, e garantendo che le informazioni siano coerenti, comparabili e affidabili per gli investitori e gli altri stakeholder.
Nella Commissione Europea, è attualmente in corso (a dicembre 2023 si è conclusa la consultazione pubblica) la revisione della Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), finalizzata al miglioramento della struttura del Regolamento sulla divulgazione delle informazioni relative alla finanza sostenibile per il contrasto ai rischi del greenwashing perché investitori, professionali e privati, possano disporre di dati e informazioni affidabili per decidere in modo consapevole i propri investimenti. Nel contesto di una revisione completa del quadro normativo in materia di finanza sostenibile (SFDR) da parte della Commissione Europea, recentemente, le tre Autorità di vigilanza europee (EBA, EIOPA e ESMA – ESAs) hanno emesso un parere congiunto per l’introduzione di due nuove categorie di sostenibilità per i prodotti finanziari, “sostenibile” e “di transizione”, che gli operatori dei mercati finanziari dovrebbero utilizzare per garantire la massima semplificazione e comprensione per i consumatori.
La SFDR si inserisce nel più ampio quadro, che comprende il Regolamento sulla Tassonomia degli Investimenti Sostenibili del 2020 (Regolamento UE 2020/852) e il Piano d’Azione per la Finanza Sostenibile dell’Unione Europea. Infine, dopo un lungo processo di elaborazione legislativa, lo scorso maggio il Consiglio UE ha adottato la CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), anche detta CS3D, la Direttiva sulla due diligence di sostenibilità delle aziende che delinea i requisiti delle misure di due diligence (in accordo con quanto previsto dalla Direttiva CSRD) che le aziende devono implementare per prevenire, mitigare e rimediare agli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente con riferimento alle operazioni proprie e dei partner commerciali.
La Corporate Sustainability Due Diligence Directive si applicherà gradualmente alle imprese che contano oltre 1000 dipendenti e oltre 450 milioni di euro di fatturato. Gli stati membri avranno due anni di tempo per implementare i regolamenti e le procedure amministrative per conformarsi al testo giuridico UE.
Strategie di crescita sostenibile per i settori hard to abate
In base all’obbligo di bilancio della CSRD, le aziende sono chiamate ad impegnarsi nella misura e nella comunicazione delle attività svolte in tema di sostenibilità. I criteri ESG sono importanti perché permettono di misurare in modo oggettivo e sulla base di parametri standardizzati e condivisi le performance ambientali, sociali e di governance di un’azienda.
Obiettivo dell’ESG è quindi garantire una visione più completa dell’impatto ambientale, dei fattori di rischio e delle potenzialità di sviluppo di un’organizzazione. Adeguarsi diventa una necessità e, oggi, anche un obbligo, soprattutto per le aziende che appartengono ai settori industriali che si definiscono hard-to-abate, cioè particolarmente difficili da decarbonizzare o riconvertire, tra i quali l’acciaio, la chimica, la ceramica, la carta e il vetro, da anni impegnate nella riduzione dei propri consumi e delle emissioni di carbonio, nell’intento di poter conseguire gli obiettivi europei di decarbonizzazione fissati al 2030 e 2050.
Si tratta, infatti, di comparti fortemente energivori, cioè caratterizzati dall’impiego di una notevole quantità di energia o basati su processi produttivi che, per loro natura, generano anidride carbonica come sottoprodotto, che devono affrontare sfide significative in termini di sostenibilità industriale e ambientale, costi operativi e responsabilità sociale.
A partire dagli anni ’90, le industrie hard-to-abate hanno cercato di efficientare i propri processi, sia da un punto di vista energetico che ambientale, utilizzando meno risorse ed energia come input per ottenere lo stesso prodotto. Una finalità che viene perseguita anche attraverso la continua ottimizzazione dei processi produttivi in tutte le fasi di lavoro, a partire dalla scelta di materie prime in grado di ridurre il fabbisogno energetico in fase di produzione e allo stesso tempo di minimizzare le emissioni in atmosfera derivanti dal processo fusorio. In questi casi, infatti, il rilascio CO2 in atmosfera è intrinseco al processo per arrivare al prodotto finito.
Ricordiamo, per molte filiere il ruolo fondamentale della calce in questo senso, come approfondito negli articoli precedenti:
https://www.unicalce.it/2023/10/sostenibilita-ambientale-come-si-traduce-nella-filiera-del-vetro/
https://www.unicalce.it/2024/03/ridurre-le-emissioni-di-co2-nella-filiera-siderurgica/
Passare dagli attuali processi di business hard to abate a una produzione che preveda la minimizzazione delle emissioni di CO2 in atmosfera derivanti dal processo fusorio necessario alla realizzazione del prodotto finale, richiede innovazione e ricerca continua di materiali e soluzioni tecnologiche in grado di ridurre il fabbisogno energetico in fase di produzione e un partner in grado di guidare ogni azienda nel suo particolare percorso verso un futuro più sostenibile, attraverso soluzioni su misura. Un compito che Unicalce svolge ormai da anni.
Solo così le aziende dei comparti hard to abate potranno raccogliere una delle sfide più concrete e complesse del nostro tempo, quella della sostenibilità sociale, economica e ambientale (ESG).